La mia lettera pubblicata oggi sul Corriere di Bologna

Romano Prodi, con la sua consueta competenza, è intervenuto sul rapporto fra politica e società partecipate. Sul tema ho poco da aggiungere alle sue considerazioni. Vorrei dire però che da un tema specifico si potrebbe porne uno più generale, che vale a Bologna come in tutto il Paese e che anzi vede Bologna come una realtà più avanzata di altre (in fondo a questo è dedicato il piccolo libro che abbiamo scritto a quattro mani con Virginio Merola). Cioè quello del ruolo delle istituzioni elettive oggi, di cosa vuol dire fare politica in questa fase storica. È vero: siamo di fronte ad una crisi del ruolo di guida della politica, che, per me, è lo specchio di una società che vive il dramma di una recessione economica che dura da quasi un decennio e da cui solo ora stiamo cominciando ad uscire, che vede la messa in discussione del ruolo dei grandi soggetti collettivi, che sente il peso dei corporativismi (spesso più vecchi che nuovi). E allora il rapporto fra cittadini e istituzioni si caratterizza per una sorta di continuà conflittualità e vertenzialità sui problemi specifici e non più per la condivisione di un progetto per una comunità. Su questo la politica si deve interrogare, per ritrovare, sapendo cambiare profondamente, le sue radici più profonde. Prima di tutto bisogna recuperare cultura politica e capacità di analisi dei processi in atto nella società: governare un Ente Locale non significa, come spesso si pensa oggi, assolvere una semplice funzione amministrativa ma soprattutto contribuire ad un progetto più generale di cambiamento del Paese e affrontare le contraddizioni dove esse si manifestano davvero, dal basso.
Poi bisogna coinvolgere e rendere protagonisti i cittadini delle scelte che li riguardano, perché possano partecipare quotidianamente allo sviluppo delle scelte di governo, sapendo che il senso civico e la consapevolezza dei problemi danno forza a una democrazia chiamata ad affrontate temi complessi e che altrimenti è esposta al pericolo della indifferenza e del populismo.
E poi c’ è il tema del ruolo dei partiti. Un padre della Repubblica definì i partiti come ‘la Democrazia che si organizza’. Oggi i partiti non esauriscono in se stessi le occasioni di partecipazione democratica e devono saper riconoscere il valore delle esperienze associative e civiche ma resta vero che non c’ è democrazia senza partiti. Partiti aperti e capaci di selezionare e fare crescere una classe dirigente competente e motivata all’interesse collettivo, mettendola alla prova sul territorio e nelle amministrazioni locali e che tornino a fare formazione politica. Penso che questa sfida sia vitale per la nostra democrazia.

Andrea De Maria

Dal Corriere di Bologna di martedì 15 Agosto 2017

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